Lo shiatsu è fondamentalmente un sistema di normalizzazione del flusso vitale. Tale normalizzazione viene operata tramite specifiche stimolazioni manuali, secondo precisi criteri operativi.
Per meglio definire il campo d’azione dello shiatsu sarà bene precisare che per ‘flusso vitale’, o ‘Qi’ in cinese, oppure ‘Ki’ in giapponese, si intende quell’insieme di energie che, al di là di qualsiasi altro attributo gli si possa dare, permea l’essere vivente, facendo sì che il corpo fisico si rigeneri continuamente. Alla cessazione di questo flusso energetico assistiamo a ciò che comunemente chiamiamo ‘morte fisica’, ossia al realizzarsi nel corpo solo di processi disgregativi. Tale condizione di flusso non è casuale, bensì condizionata e condizionabile.
L’essere vivente esiste all’interno di un macro-sistema energetico, Terra-Cielo, che a sua volta si esprime in sottosistemi differenziati: i cicli annuali, le stagioni, il giorno e la notte; questi sottosistemi interagiscono costantemente con i sistemi energetici di tutti gli esseri viventi.
Vi è quindi un costante scambio tra noi e l’‘esterno’ nel quale ci poniamo talvolta in modo armonico, più spesso in modo disordinato, danneggiando, per ignoranza, noi stessi e gli altri.
CHE COSA DANNEGGIAMO?
Ciò che danneggiamo, primariamente, è l’equilibrio dell’energia vitale che fluisce nel nostro corpo nutrendo organi e visceri e distribuendosi regolarmente lungo specifici percorsi, detti ‘meridiani’. Quando, per motivi di varia natura ed entità, questo equilibrato fluire si altera, compaiono disagio, malessere, malattia.
Quanto più a lungo permane l’alterazione energetica, tanto più profondamente il corpo e la mente ne soffrono. L’energia generale diminuisce, la lucidità mentale si appanna, compaiono instabilità emotiva e i primi disturbi fisici. Succede così che, come la deviazione di una sorgente a monte crea siccità e rovina a valle, così l’alterarsi del flusso dell’energia vitale in qualsiasi sua parte, se non corretto per tempo, trasforma progressivamente tutto il nostro essere in qualcosa di sbilanciato e pericolante.
LA CRONICIZZAZIONE DELLO SQUILIBRIO
Poiché l’essere vivente, in quanto tale, tende automaticamente a ricreare un equilibrio, per precario che esso sia, alla comparsa delle prime alterazioni seguiranno fasi in cui il flusso vitale si riorganizzerà secondo nuove relazioni. L’essere vivente ‘cambierà’ in modo più o meno visibile; contemporaneamente il segnale, il malessere fisico o mentale, perderà di urgenza e passerà a un sottolivello di coscienza.
Si avrà così una condizione apparente di funzionalità generale, precariamente sorretta però da rapporti energetici impropri. Il permanere di questo ‘equilibrio improprio’ provocherà usura, nuovi squilibri e, nel tempo, comparsa di nuove e più gravi sintomatologie mentali e fisiche.
La correzione dello squilibrio energetico può essere ovviamente ricercata a partire da vari approcci, così come l’energia vitale si esprime in modi differenti e a differenti livelli.
La tecnica shiatsu trae la sua origine dal più antico gesto che l’uomo abbia mai compiuto alla comparsa della sofferenza: posare la mano sulla zona fisica dove il dolore si focalizza. Da questo gesto istintivo molta strada è stata fatta.
ALCUNE OSSERVAZIONI STORICHE SULLO SVILUPPO DELLO SHIATSU IN OCCIDENTE
Lo Shiatsu è una tecnica a mediazione corporea di origine composita, il cui sviluppo è stato ed è sicuramente eclettico, tanto nelle forme che sono praticate in Giappone, quanto nelle evoluzioni che alcune di queste hanno espresso a contatto con la cultura Occidentale. La grande varietà degli stili oggi praticati, i diversi sistemi di valutazione energetica, a volte le stesse dichiarazioni di finalità che vengono poste a monte della pratica, testimoniano esplicitamente del grado di polimorfismo che i modelli originari hanno sviluppato.
Possiamo in ogni caso affermare che, quantomeno in Occidente, i modelli esportati che hanno trovato maggior risposta sono due: il modello Namikoshi ed il modello Masunaga.
IL MODELLO NAMIKOSHI
Tokujiro Namikoshi, a cui va l’indubbio merito di aver per primo formalizzato la tecnica Shiatsu in Giappone, riuscendo ad ottenerne il riconoscimento da parte del governo nel 1955, ha costruito una struttura teorico-pratica il cui aspetto fondamentale, e un po’ sorprendente, consiste nell’allontanamento dal modello proposto di gran parte dei tratti in qualche misura collegabili al background tradizionale a cui fa riferimento la medicina tradizionale Giapponese.
Di fatto si tratta quindi dell’abbandono dei modelli reinterpretativi della cultura sinica che il Giappone ha elaborato a partire dal VI secolo ad oggi, a favore di una visione potremmo dire “fisioterapica” del rapporto con il corpo.
Contemporaneamente però è difficile non individuare una contraddizione abbastanza visibile tra la pratica che viene proposta, che trae sicuramente le sue origini dalle tecniche tradizionali giapponesi, e il tentativo di razionalizzarne gli effetti attraverso il linguaggio proprio della scienza medica occidentale, evitando accuratamente qualsiasi riferimento alla medicina orientale.
Questa presa di distanze è particolarmente sorprendente, soprattutto se si considera che negli ultimi decenni i tentativi di leggere in chiave positivista gli effetti, per esempio, dell’Agopuntura sono stati e sono moltissimi, senza che questo abbia mai richiesto di rinnegare l’Agopuntura stessa, al massimo di fraintenderla.
È innegabile infatti che nello Shiatsu da lui proposto siano presenti criteri di pressione mantenuta, perpendicolare e conforme, assieme ad altre tecniche di pressione derivate dall’anima e dal massaggio cinese, e che qua e là gli sfuggissero anche riferimenti espliciti a concetti di medicina orientale «… le persone che hanno problemi di cuore hanno spesso mignoli deboli…» ecc.
Nel contempo, però, Tokujiro Namikoshi spiegava ai chiropratici americani l’efficacia dello Shiatsu in termini di riduzione dell’acido lattico e aumento del glicogeno nei muscoli.
Forte di queste caratteristiche, la tecnica Namikoshi si è diffusa in Occidente, a partire dagli anni ’60, soprattutto negli ambienti paramedici e comunque in genere solo attraverso Scuole che sono emanazioni dirette e autorizzate della Scuola Giapponese di Shiatsu.
IL MODELLO MASUNAGA
Shizuto Masunaga invece si era laureato in psicologia a Kioto, era membro della Associazione Giapponese di Medicina Orientale e aveva lavorato per circa un decennio come insegnante nella Scuola Giapponese di Shiatsu, da cui si era separato successivamente, proprio a causa del suo voler introdurre nella pratica Shiatsu l’utilizzo dei meridiani energetici, riannodando così i legami con il vasto mare della medicina tradizionale cinese (M.T.C.)
Sulla base dei suoi studi sulla medicina tradizionale cinese e giapponese e della sua pratica clinica, sostenne innanzitutto la centralità del trattamento del Meridiano in quanto tale e in toto.
Nella tecnica terapeutica, enfatizzò il concetto di attivazione del meridiano attraverso la sollecitazione manuale dei vuoti – pieni (kyo – jitsu) rilevabili percettivamente nella struttura del meridiano stesso, mentre contemporaneamente non dimostrò che un interesse marginale per i punti (tsubo) canonici.
In questo modo si discostava quindi nettamente anche dallo Shiatsu eseguito attraverso la stimolazione dei punti di Agopuntura e Moxa, presente in Giappone presso alcune scuole.
Conseguentemente allo sviluppo di questo approccio, attraverso l’indagine percettiva e il grande utilizzo della tecnica di stretching sui pazienti, Masunaga arrivò a sostenere che, differentemente da quanto comunemente accettato, il tracciato dei 12 meridiani principali era rilevabile in tutto il corpo, tanto nella parte superiore che inferiore.
Inoltre trovò delle piccole diversità di percorso anche lì dove i tracciati canonici di M.T.C. e quelli da lui identificati tendenzialmente concordavano. Considerando che gli studi di Maruyama e Nagahama sulla risonanza elettromagnetica dei meridiani sembravano sostenere le sue ricerche, e confortato dai risultati che la pratica clinica sua e dei suoi allievi gli offriva, Masunaga non soffrì di eccessivi complessi verso il sistema di meridiani più diffuso e comunemente accettato di M.T.C., tanto che le sue osservazioni in proposito lo portavano a dichiarare:
«Per quanto riguarda la diagnosi con il tatto, in Agopuntura e Moxa il nucleo della diagnosi è il polso, mentre le diagnosi dell’addome, della schiena e dei meridiani sono puramente sussidiarie; inoltre l’oggetto di tali diagnosi rimangono pur sempre i punti dei meridiani e non si dà molta importanza alla diagnosi del kyo – jitsu dei meridiani stessi».
In sostanza, partendo dal lavoro di Masunaga è possibile ipotizzare che il tragitto dei meridiani tradizionali di M.T.C. sia più un “luogo logico” che riunisce più punti con caratteristiche coerenti, che non tanto un “luogo reale” e praticabile. La cui funzione, nella pratica terapeutica dello shiatsuka e non solo nella teoria, potrebbe essere invece qualcosa di più che non collegare dei punti tra di loro.
Per Masunaga, in ogni caso, il meridiano è una vera entità energetica, vettore direttamente percepibile dell’armonia o disarmonia energetica, e quindi oggetto principale dell’attività terapeutica.
La “diagnosi con il tatto” (setsushin) aveva inoltre portato Masunaga a identificare sul dorso e sull’addome del soggetto complessivamente 24 aree di diagnosi, 12 yang e 12 yin, utilizzabili per definire in termini di kyo – jitsu lo stato dell’energia d’Organo e Viscere (diagnosi di Hara). La sistematizzazione delle aree diagnostiche quindi fece sì che esse divenissero strumenti fondamentali per tutti gli shiatsuka che fecero poi riferimento a questo metodo.
Il lavoro di ricerca di Shizuto Masunaga portò nel 1977 alla pubblicazione della versione definitiva della mappa dei meridiani Iokai, o meridiani Masunaga come vengono comunemente chiamati.
PRINCIPALE TECNICA SHIATSU | TECNICHE DERIVATE |
TECNICA NAMIKOSHI | |
• Utilizzo dei punti Namikoshi e dei criteri di pressione definiti dalla Scuola Giapponese di Shiatsu.• La diagnosi è di tipo medico occidentale• L’intervento è prescritto in base alla sintomatologia | • Genericamente tutti i trattamenti che utilizzano la pressione sui punti Namikoshi e derivati, e non su i meridiani energetici o sui punti di agopuntura e moxa. |
TECNICA MASUNAGA | |
• Utilizzo integrale dei meridiani e delle aree di diagnosi Masunaga• Diagnosi di Kyo–Jitsu sui meridiani e su Hara e trattamento per coppie di Kyo–Jitsu• Tecniche di pressione e Kata stile Iokai | • Utilizzo integrale dei meridiani e delle aree di diagnosi Masunaga. Mantenimento dei criteri fondamentali di diagnosi e attivazione del Ki (Qi) nei meridiani e della diagnosi di Hara, secondo i criteri di Kyo–Jitsu. Evoluzioni delle tecniche di pressione, delle tecniche diagnostiche, dei Kata e delle metodologie di trattamento.• Mantenimento o contiguità ai criteri generali di diagnosi di Kyo– Jitsu, utilizzo della diagnosi di Hara, ma utilizzo dei meridiani di Agopuntura e particolare interesse all’utilizzo dei punti tradizionali di Agopuntura. Evoluzioni delle tecniche di pressione, delle tecniche diagnostiche, dei Kata e delle metodologie di trattamento.• Ibridazioni particolarmente eclettiche, che utilizzano tendenzialmente i principi generali già descritti applicandoli di volta in volta a: meridiani e punti di Agopuntura, monconi dei tragitti Masunaga, aree di diagnosi Masunaga e punti Shu–Mu usati come punti diagnostici. |
PROPRIOCEZIONE ED ETEROCEZIONE
Lo Shiatsu è comunque anche una disciplina in cui la mediazione tra atto tecnico e capacità di interpretazione dell’atto tecnico da parte dell’Operatore assume valore capitale, in modo assai più significativo che non in altre discipline. Darò qui di seguito alcuni elementi di sostegno a quanto affermato.
Per propriocezione in genere si intende l’attività svolta dall’insieme dei sistemi che sono coinvolti nel fornire informazioni circa l’orientamento del corpo nello spazio, il suo movimento o il movimento di parti di esso, la sua posizione eccetera.
Nello Shiatsu lo sviluppo dei somatosensi riporta l’Operatore a un’attività propriocettiva particolare, specificamente funzionale al rapporto terapeutico. Infatti, tutta la tecnica dei kata (sequenze di atti pressori) è anche un addestramento continuo alla propriocezione.
All’Operatore è richiesto di sviluppare una precisa consapevolezza della posizione del suo corpo nello spazio e un’uguale consapevolezza dei movimenti che il suo corpo compie, perché sarà proprio attraverso un kata impeccabile che entrerà in contatto correttamente con il soggetto.
Infatti un aspetto specifico della propriocezione nello Shiatsu è legato al fatto che l’Operatore muove se stesso ‘verso’ il soggetto fino a stabilire un contatto finalizzato, e da questo contatto nasce una risposta che attiva in termini sottili le funzioni propriocettive dell’Operatore.
Va sottolineato che il momento propriocettivo più importante si instaura proprio nella fase di stasi della pressione shiatsu, lì dove l’Operatore apprezza la risposta che il corpo del soggetto gli rimanda. Avremo quindi, al termine dello spostamento nello spazio del corpo dell’operatore, l’instaurarsi di una fase che chiameremo ‘proprio-eterocettiva’, determinata dalla pressione shiatsu, in cui operatore e soggetto si scambieranno messaggi ‘energetici’, per definire con un’unica parola i livelli somatici, psichici, emozionali, elettromagnetici ecc., che entrano in interazione durante la fase pressoria.
Scomponendo infatti ciò che accade durante l’atto terapeutico shiatsu, possiamo proporre le seguenti osservazioni, in relazione alle dinamiche propriocettive ed eterocettive che vengono in essere nelle sequenze di ingresso, stasi e uscita.
L’operatore muove verso il soggetto mantenendo un certo grado di attenzione verso le sensazioni che provengono dal suo corpo che si sposta correttamente nello spazio (rachide allineato, diaframma libero, uso dello spostamento del baricentro).
La posizione corretta e l’attenzione gli permettono così di percepire la tensione eventuale presente nel suo corpo, provocata o da una scorretta esecuzione tecnica del kata, oppure da uno stato psicofisico non bilanciato.
La tensione, che può esprimersi nell’operatore in vari modi e in varie aree del soma, produrrà comunque sempre sensazioni nell’area addominale, che è, non a caso, la zona dove sono rilevabili le aree di diagnosi energetica yin di organi e visceri. Sappiamo infatti che l’atteggiamento energetico generale yin comprende in sé le caratteristiche di accoglimento-percettività, e l’esperienza ci insegna che le zone in cui più chiaramente percepiamo le emozioni sono l’addome e il petto. Non a caso nell’uso popolare esistono espressioni come ‘sentire di pancia’, ‘sentirsi dentro’ ecc.
Nell’area addominale, quindi, l’Operatore avrà la possibilità di percepire la propria reazione al suo avvicinarsi al soggetto, al suo entrare in contatto con un altro corpo, forse sofferente in misura più o meno esplicita, e di questa reazione dovrà essere assolutamente consapevole, pena il suo stesso sbilanciamento energetico.
L’Operatore carica il suo peso corporeo sul soggetto utilizzando gli strumenti di lavoro appropriati. Nella fase statica della pressione, l’Operatore è in rapporto diretto con il corpo del soggetto e, mantenendo focalizzata l’attenzione sull’area di contatto, ha la possibilità di ascoltare il dialogo che si instaura tra i propri sistemi propriocettivi e quelli del soggetto (eterocezione), all’interno di un meccanismo di biofeedback spontaneo. Possiamo infatti considerare che di fronte a qualsiasi sensazione noi abbiamo una risposta di tipo binario: sensazione piacevole; sensazione spiacevole.
Esiste poi la situazione ‘non-a) non-b)’, in cui la sensazione è ignota, quindi neutra; ma in breve tempo, appena messa a fuoco, diventerà di tipo a) oppure b).
In relazione alla sensazione piacevole, la risposta psicofisica condizionata sarà quella di ‘trattenere’ la sensazione, in modo da poter prolungare il piacere stesso.
In relazione alla sensazione spiacevole, la risposta condizionata porterà automaticamente ad atteggiamenti di evitamento e difesa che abbrevino il tempo di percezione della sensazione spiacevole.
In ambedue i casi questi atteggiamenti, apparentemente polari, si scontrano con un dato di realtà incontrovertibile: i fenomeni, infatti, di qualsiasi tipo essi siano, sono impermanenti e sostanzialmente ingovernabili.
Così, come il desiderio che una sensazione piacevole non svanisca non può che generare uno stato di frustrazione, e cioè di congestione del flusso energetico, così il non riconoscere che anche una sensazione spiacevole è impermanente e in gran parte ingovernabile determina, in ragione dello sforzo di negarla, la medesima situazione di frustrazione e congestione energetica.
In senso generale, quanto affermato è stato probabilmente sperimentato chiaramente da ognuno di noi, quanto meno in situazioni particolarmente coinvolgenti di piacere e dispiacere.
Tuttavia, ciò che è importante sottolineare è che l’atteggiamento di trattenimento-evitamento è presente nella mente in modo quasi continuo, ed è motivo quindi dell’instaurarsi di un attrito continuo tra la realtà dei fenomeni e il modo in cui noi li viviamo.
In termini utilizzabili nella teoria della tecnica shiatsu, possiamo quindi dire, per esempio, che una sensazione piacevole dallo stato di esistenza (yang) tende ad andare verso il suo naturale stato di quiescenza (yin) seguendo il normale flusso oscillatorio di ogni fenomeno.
La mente che vuole trattenere la sensazione piacevole oltre il suo naturale tempo di vita si pone quindi in attrito irragionevole con il tessuto energetico della realtà, creando in certo modo una specie di realtà separata, allucinatoria.
Allo stesso modo, il tentare di negare l’insorgere (yang) di un fenomeno sgradevole è un po’ come tentare di fermare l’alta marea con le mani: impossibile, frustrante, origine di ulteriori sensazioni spiacevoli.
Dalla nostra capacità maggiore o minore di accettare le sensazioni per quel che sono, fenomeni impermanenti e ingovernabili, oscillanti tra la condizione yin e yang, dipende quindi lo stato di maggiore o minore congestione in cui costantemente ci troviamo.
Diventa così evidente l’importanza che assume quanto esposto in relazione al contatto terapeutico che si instaura tra l’operatore ed il soggetto.
L’operatore si ritira dalla pressione rapidamente o lentamente a seconda dell’effetto desiderato. Nella fase di uscita diventa particolarmente evidente quanto detto sul rischio di ‘invischiamento’ dell’Operatore nelle sue sensazioni.
Sono infatti normalmente presenti, nelle supervisioni fatte ai professionisti, i riporti di situazioni in cui l’uscita dalla pressione viene posticipata perché genera sensazioni piacevoli all’Operatore, oppure, al contrario, affrettata perché genera sensazioni spiacevoli.
Il tempo della pressione in questo modo non viene più determinato dalla necessità terapeutica, ma dalla reattività più o meno inconscia dell’operatore.
Deve essere chiaro peraltro che tutto ciò non rappresenta mai un danno per il soggetto, al massimo un riduzione di beneficio, ma può essere un danno per l’Operatore.
Abbiamo detto infatti che la condizione normale dell’energia vitale è quella di flusso, e che tutti i problemi nascono proprio dall’alterarsi di questa situazione.
La vera azione terapeutica dello Shiatsu si sviluppa quindi nella misura in cui l’Operatore riesce a richiamare nel soggetto la migliore condizione di circolazione energetica possibile. Per ottenere ciò dispone di una metodologia specifica che gli permette di intervenire, tramite pressioni, sui meridiani energetici e sulle aree di diagnosi.
Questo intervento, in certa misura, anche se condotto superficialmente ha già un’attività normalizzatrice su parte delle condizioni energetiche del soggetto. Tuttavia, nel momento in cui insorgono nell’Operatore atteggiamenti di trattenimento-evitamento, questi atteggiamenti stessi gli precludono l’accesso a livelli più sottili e profondi dello stato energetico del soggetto, poiché esprimendosi come congestione non possono certo svolgere un’azione normalizzatrice nei confronti di congestioni similari.
Inoltre le condizioni di congestione non consapevole che insorgono nell’Operatore divengono responsabili delle sensazioni a volte lamentate da chi pratica Shiatsu professionalmente: stanchezza, sensazione che il ricevente abbia prosciugato tutte le energie dell’Operatore, sensazioni sgradevoli di rimbalzo o che insorgono in lui durante il trattamento, e così via.
Questo tipo di disturbi sono in pratica autoprovocati dall’Operatore stesso, e trovano poi terreno fertile nel riverberare sui suoi problemi energetici costituzionali. In relazione a quanto detto è quindi di estrema importanza che nel training formativo dei professionisti sia curato lo svilupparsi di un’attenzione propriocettiva costante, in certo modo automatica e istintiva.
Autore: Fabio Zagato, caposcuola I.R.T.E.
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Spagyrica